Con nota del 2 marzo il Garante per la protezione dei dati personali ha dato riscontro ai numerosi quesiti pervenuti in merito alla possibilità, per datori di lavoro pubblici e privati, di acquisire una “autodichiarazione” da parte dei dipendenti in ordine all’assenza di sintomi influenzali, di indagare sugli ultimi spostamenti effettuati dai medesimi o su altre vicende relative alla sfera privata.
In primo luogo il Garante ha ricordato che la finalità di prevenzione della diffusione del Coronavirus deve essere svolta esclusivamente da soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato.
Ne consegue che l’accertamento e la raccolta di informazioni relative ai sintomi tipici del Coronavirus e/o ai recenti spostamenti di ogni individuo spettano esclusivamente agli organi specificamente deputati a garantire il rispetto delle regole di sanità pubblica recentemente adottate, cioè agli operatori sanitari e al sistema attivato dalla protezione civile.
Quali misure di contenimento sono state previste dalla normativa d’urgenza?
La normativa d’urgenza adottata nelle ultime settimane prevede che chiunque, negli ultimi 14 giorni, abbia soggiornato nelle zone a rischio epidemiologico ha l’obbligo di comunicarlo all’azienda sanitaria territoriale, anche tramite il medico di base; sarà quest’ultima, poi, a disporre tutti gli accertamenti previsti come, ad esempio, l’isolamento fiduciario.
Può il datore di lavoro effettuare indagini o controlli sullo stato di salute dei lavoratori?
Come chiarito dal Garante, i datori di lavoro non possono raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa, né attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore né mediante indagini non consentite.
Cosa deve fare il lavoratore?
Ciascun lavoratore ha l’obbligo di segnalare al datore di lavoro l’esistenza di qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.
A tal proposito, il Ministro per la pubblica amministrazione ha recentemente fornito alcune indicazioni operative tra cui si ricorda anche quella che impone al dipendente e a chiunque operi a vario titolo presso la PA di segnalare tempestivamente l’eventuale provenienza da un’area qualificata come “a rischio”.
Il dipendente che svolge mansioni a contatto con il pubblico (es. URP, attività di sportello) e che, nel corso dell’attività lavorativa, venga in contatto con un caso sospetto di Coronavirus, deve (eventualmente anche tramite il datore di lavoro) comunicare la circostanza ai servizi sanitari competenti e attenersi alle indicazioni di prevenzione fornite dagli operatori sanitari interpellati.
Cosa deve fare il datore di lavoro?
Il datore di lavoro può invitare i propri dipendenti a comunicare, ove necessario, l’eventuale provenienza da zone a rischio in ossequio alle indicazioni previste dal Ministero per la P.A. a cui si è fatto cenno sopra, agevolando le modalità di inoltro delle comunicazioni medesime e predisponendo canali dedicati.
Il datore di lavoro ha inoltre l’obbligo di comunicare agli organi preposti l’eventuale variazione del rischio “biologico” derivante dal Coronavirus per la salute sul posto di lavoro e gli altri adempimenti connessi alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori tramite il medico competente, come, ad esempio, la possibilità di sottoporre a una visita straordinaria i lavoratori più esposti.
Cosa devono fare, in generale, tutti i titolari del trattamento?
Il Garante ha invitato tutti i titolari del trattamento ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal Ministero della salute e dalle istituzioni competenti per la prevenzione della diffusione del Coronavirus, senza adottare iniziative autonome che prevedano la raccolta di dati anche sulla salute di utenti e lavoratori che non siano normativamente previste o disposte dagli organi competenti e a ciò specificamente deputati.