Un’azienda californiana è stata condannata in Olanda a risarcire un lavoratore, licenziato perché si era rifiutato di tenere accesa la webcam durante l’orario di lavoro in smartworking per consentire il controllo della prestazione lavorativa. Il dipendente, che svolgeva attività di programmatore, si è difeso sostenendo che il controllo da parte dell’azienda fosse già adeguatamente garantito dai file di log e che la webcam accesa avrebbe invaso eccessivamente la sua sfera intima. Il Tribunale olandese di Tillburg, accogliendo le doglianze, ha statuito che “l’istruzione di lasciare accesa la telecamera è contraria al diritto del dipendente al rispetto della sua vita privata”. La società, dunque, è stata condannata al versamento di circa € 75.000 tra stipendio, risarcimento del danno e spese legali.

L’Azienda, a sua discolpa, aveva sostenuto che la webcam non invadeva la privacy del lavoratore il quale, se avesse lavorato presso gli uffici aziendali anziché “da remoto”, sarebbe stato controllato direttamente “di persona”. L’argomentazione non è pertinente essendo pacifico, anche secondo la normativa e giurisprudenza italiane, che il controllo umano “in presenza” non è paragonabile al controllo a distanza mediante videosorveglianza o webcam.

Non a caso, nel nostro ordinamento, la videosorveglianza in ambito lavorativo è assoggettata all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, secondo cui è lecita solo se autorizzata da un accordo sindacale o da un provvedimento autorizzativo dell’Ispettorato del Lavoro (il cui ottenimento è tutt’altro che una formalità). A patto, peraltro, che il controllo dell’attività lavorativa occasionato dagli impianti sia indiretto e non diretto. L’obbligo per il lavoratore di svolgere la prestazione lavorativa con la webcam accesa è, dunque, sicuramente illegittimo anche nel nostro ordinamento.

Va tenuto presente, infine, che alla responsabilità civile conseguente alla violazione va aggiunta quella amministrativa per violazione della normativa sulla privacy (e, in Italia, quella penale per condotta antisindacale ai sensi dell’art. 38 dello Statuto dei Lavoratori).