Con l’ordinanza n. 21683/2019 pubblicata lo scorso 23 agosto la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulle conseguenze che il mancato rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro comporta per l’Azienda con specifico riferimento alla sorte dei contratti a termine eventualmente stipulati.
La decisione.
La recente pronuncia della Cassazione ha ribadito il principio secondo cui la clausola di apposizione del termine ad un contratto di lavoro a tempo determinato è nulla – e, di conseguenza, il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi degli artt. 1339 e 1419, co II c.c. – qualora il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione del contratto medesimo (così anche Cass. n. 5241/2012; Cass. n. 8212/2017; Cass. n. 27335/2017; Cass. n. 13959/2018).
Da cosa discende la nullità della clausola di apposizione del termine?
In simili ipotesi la nullità della clausola di apposizione del termine contenuta nel contratto di lavoro viene fatta discendere direttamente dalla violazione di una norma imperativa.
Trattasi nello specifico all’art. 3 comma 1 lett. d) del d.lgs. n. 368/2001 (oggi abrogato ma sostituito nel contenuto dall’art. 20 co. I lett. d) del d.lgs. 81/2015), il quale sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato nei termini previsti la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 e successive modificazioni.
Quale è la ratio del divieto di stipula di contratti a termine in assenza di una preventiva valutazione dei rischi?
La ratio del divieto di cui all’art. 3 del d.lgs. 368/2001 risiede nella necessità di assicurare una più intensa protezione a favore dei lavoratori a tempo determinato, per i quali la flessibilità dell’impiego si traduce inevitabilmente in una riduzione della familiarità sia con l’ambiente che con gli strumenti di lavoro utilizzati (così anche Cass. n. 5241/2012, Cass. n. 27335/2017; Cass. n. 7212/2017).
Su chi incombe l’onere di provare l’assolvimento degli obblighi di legge in materia di sicurezza sul lavoro?
È sul datore di lavoro che intende sottrarsi alle conseguenze della violazione della indicata disposizione che incombe l’onere di provare di aver assolto specificamente all’adempimento richiesto dalla normativa in materia di sicurezza sul luogo di lavoro (Cass. 2 aprile 2012, n. 5241, punto 31 ss. in motivazione).