Con ordinanza n. 7139/2018 del 22.3.2018 la Cassazione ha chiarito che il socio di una società di persone, anche se illimitatamente responsabile, può validamente prestare fideiussione in favore della società.
Secondo la Suprema Corte infatti se da un lato non si può certo affermare l’estraneità del socio illimitatamente e solidalmente responsabile rispetto ai debiti sociali, dall’altro non si può negare che la società di persone, anche se priva di personalità giuridica, costituisca un centro di interessi dotato di una propria autonomia patrimoniale; ciò comporta che tra socio e società vi è una distinzione sostanziale e che possono sussistere rapporti giuridici distinti, non solo tra la società e i terzi ma anche tra la prima e gli stessi soci.
Ne discende che la fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile in favore della società può essere ricondotta fra le garanzie prestate per le obbligazioni altrui di cui all’art. 1936 c.c.; tale garanzia, non sovrapponendosi a quella fissata ex lege dalle disposizioni sulla responsabilità illimitata e solidale, legittima il socio che sia stato escusso quale fideiussore e che in tale qualità abbia provveduto al pagamento di un debito sociale, all’esercizio dell’azione di regresso ex art. 1950 c.c. nei confronti della società medesima.

La vicenda.

Il socio accomandante di una società in accomandita semplice (art. 2313 e ss. c.c.) aveva prestato fideiussione in favore della società e, dopo essere stato in tale qualità escusso dal creditore sociale, decideva di agire in regresso ex art. 1950 c.c. nei confronti della società ottenendo a tal fine l’emissione di un decreto ingiuntivo.
Avverso il suddetto decreto l’ingiunta proponeva opposizione, poi rigettata dal Tribunale di prime cure (cfr. sentenza n. 431/2007 Trib. Firenze) in considerazione sia della qualità di fideiussore riferibile al socio sia dell’autonomia patrimoniale che caratterizza la società e da cui discende la distinzione del patrimonio del socio da quello della società.
Il Giudice dell’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado (cfr. sentenza n. 229/2012 Corte d’Appello di Firenze) revocava il decreto ingiuntivo opposto e dichiarava l’insussistenza del diritto del socio al regresso, adducendo che il giudice di primo grado aveva erroneamente assunto a «presupposto», non specificamente impugnato, la «qualità di socio illimitatamente responsabile della società, nonostante la sua formale carica di socio accomandante» (e non accomandatario) e richiamando il precedente orientamento giurisprudenziale a tenore del quale la condizione del socio illimitatamente responsabile non sarebbe assimilabile a quella propria del fideiussore.
La Cassazione, investita della questione su ricorso promosso dal socio, con l’ordinanza n. 7139/2018, ha cassato con rinvio la sentenza di secondo grado indicando il seguente principio di diritto: “il socio di una società di persone, ancorché illimitatamente responsabile, può validamente prestare fideiussione in favore della società, giacché questa, pur se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci stessi; la predetta garanzia rientra, infatti, tra quelle prestate per le obbligazioni altrui secondo l’art. 1936 cod. civ., non sovrapponendosi alla garanzia fissata ex lege dalle disposizioni sulla responsabilità illimitata e solidale, potendo invero sussistere altri interessi che ne giustificano l’ottenimento – alla stregua di garanzia ulteriore – in capo al creditore sociale (quali, ad esempio, l’interesse a che il socio resti obbligato anche dopo la sua uscita dalla società, o quello di potersi avvalere di uno strumento di garanzia autonomo, svincolato tra l’altro dal limite, sia pure destinato ad operare solo in fase di esecuzione, del beneficium excussionis di cui all’art. 2304 cod. civ.); in tale situazione il socio, il quale sia stato escusso quale fideiussore e, nella qualità, abbia provveduto al pagamento del debito sociale, è legittimato all’esercizio dell’azione di regresso ex art. 1950 cod. civ. contro la società.” (Cass. Ord. n. 7139/2018).

L’iter argomentativo seguito dalla Cassazione.

Il ricorso per Cassazione era stato articolato dal socio su tre motivi:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2320 e 2909 cod. civ. e art. 324 cod. proc. civ. (art. 360 comma 1, n. 3, cod. proc. civ.), per avere la Corte di Appello erroneamente ritenuto che il giudice di prime cure avesse “presupposto” la qualità di socio illimitatamente responsabile del socio nonostante la sua formale carica di accomandante;
2) omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 comma 1, n. 5, cod. proc. civ.), per avere la Corte di appello trascurato di individuare gli elementi, certi, concreti e obiettivi della decisione di primo grado, da cui sarebbe derivato il giudicato sul punto della responsabilità illimitata del socio;
3) in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, violazione e falsa applicazione degli artt. 2251, 2291, 2315, 1203, n. 3, 1936, 1949 e 1950 (art. 360 comma 1, n. 3, cod. proc. Civ.), in considerazione del fatto che l’azione di regresso del socio, esercitata con il ricorso per ingiunzione, traeva titolo da un pagamento effettuato dal socio in forza di fideiussione prestata a favore della società nell’interesse di un istituto di credito.
La Cassazione, rilevato che la chiave di volta della questione risiedeva proprio nella verifica della validità della fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile, ha ritenuto il terzo motivo assorbente – anche se formalmente subordinato – rispetto ai precedenti, dal momento che, a prescindere dalla questione, agitata dai precedenti motivi, circa lo status di socio illimitatamente responsabile spettante al ricorrente, il fatto stesso che il medesimo socio abbia anche prestato fideiussione a favore della società doveva ritenersi elemento idoneo a definire la controversia in termini risolutivi.
Il giudice di secondo grado aveva sostenuto la tesi della “irriferibilità” della qualità di fideiussore al socio illimitatamente responsabile di una società di persone, richiamando sul punto quanto già espresso da Cass. 5 novembre 1999, n. 12310. Secondo tale orientamento la posizione di socio illimitatamente responsabile sarebbe incompatibile con quella di fideiussore: infatti mentre il fideiussore garantisce un debito altrui e, per tale ragione, una volta effettuato il pagamento, ha azione di regresso per l’intero nei confronti del debitore principale e si surroga nei diritti del creditore (v. artt. 1949 e 1950 c.c.), il socio illimitatamente responsabile risponde con il suo patrimonio di debiti che non possono dirsi a lui estranei, in quanto derivanti dall’esercizio dell’attività comune, cui – in assenza di un’organizzazione corporativa – partecipa direttamente. Da tale premessa e sull’implicito presupposto che l’obbligazione “altrui” cui l’art. 1936 c.c. fa riferimento postuli una diversità soggettiva tra debitore e fideiussore, la Corte territoriale era giunta a sostenere l’«irriferibilità» allo stesso socio della qualità di fideiussore, in linea con l’interpretazione già data dalla S.C. dell’art. 184 L.F. secondo cui, in caso di concordato preventivo, i creditori garantiti mantengono impregiudicati i loro diritti solo nei confronti dei fideiussori che non siano anche soci illimitatamente responsabili (questi ultimi essendo beneficiari dell’effetto esdebitatorio del concordato).
Il ricorrente invece, pur partendo dal dato indiscusso secondo cui la responsabilità del socio illimitatamente responsabile di una società di persone riguarda debiti che non possono ritenersi a lui estranei, sosteneva che non potesse escludersi a priori una diversa regolamentazione dei rapporti tra socio e società, stante la sia pur limitata autonomia patrimoniale di quest’ultima. A tal proposito venivano richiamati i principi già espressi da Cass. n. 26012 del 2007 in punto di validità della fideiussione stipulata dal socio illimitatamente responsabile in favore della società concludendo, di conseguenza, nel senso della legittimità dell’azione di regresso esperita. Veniva altresì contestata la pertinenza del richiamo alla norma di cui all’art. 184 L.F. nel caso specifico rilevando, nel contempo, che indicazioni di segno diverso da quelle assunte dal Giudice a quo si potessero evincere dal rilievo che il fallimento del socio illimitatamente responsabile, pur conseguendo al fallimento della società, rimane autonomo e distinto dal fallimento di quest’ultima. Infine il ricorrente sosteneva che non si potesse confondere la garanzia personale contrattualmente prestata dal socio con la responsabilità illimitata derivante dalla legge, censurando pertanto la decisione impugnata che aveva ritenuto la fideiussione inefficace, senza peraltro dichiararne la nullità.
La Cassazione ha ritenuto di dovere ribadire il principio (già espresso da Cass. n. 26012 del 2007; Cass., 5 maggio 2016, n. 8944; Cass., 26 febbraio 2014, n. 4528), secondo cui il rilascio della garanzia fideiussoria da parte del socio illimitatamente responsabile non è in grado di alterare lo schema legale delle società di persone. Secondo la Corte ciò semmai aggiunge un titolo diverso in base al quale il creditore è in grado di agire in executivis senza che al fideiussore – in quanto tale – sia consentito di avvalersi del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale.
Secondo la Corte infatti dalla considerazione che la società costituisce un centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci stessi, deriva che il socio, anche se illimitatamente responsabile, il quale presta fideiussione in favore della società, si pone di fatto come garante di una obbligazione altrui secondo lo schema dell’art. 1936 c.c. La fideiussione prestata pertanto non si sovrappone alla responsabilità ex lege e legittima il socio che sia stato escusso quale fideiussore e che in tale qualità abbia provveduto al pagamento del debito sociale, all’esercizio dell’azione di regresso ex art. 1950 c.c. nei confronti della società.
Con tale pronuncia peraltro la Cassazione smentisce anche il convincimento – sotteso alla decisione della Corte di appello – secondo cui la fideiussione rilasciata dal socio illimitatamente responsabile sarebbe priva di causa in quanto non aggiungerebbe nulla alla garanzia patrimoniale già offerta al creditore dalla legge. Sul punto la Corte rileva che occorre tenere presente che vi sono altri interessi che possono spingere il creditore sociale a voler pretendere una ulteriore garanzia: ad esempio l’interesse a che il socio resti obbligato anche dopo la sua uscita dalla società o quello di potersi avvalere di uno strumento di garanzia autonomo, svincolato dal limite del beneficium excussionis di cui all’art. 2304 c.c.