Contratto di prestazione d’opera per intervento di chirurgia estetica: recesso della paziente e restituzione delle somme versate.

Corte di Cassazione, sentenza n. 19265/2012

La Corte di Cassazione, nel confermare quanto esposto dai giudici di merito, delinea alcuni importanti assetti in relazione all’attività svolta dal chirurgo estetico ed al rapporto medico-paziente.

In particolare, trattandosi di contratto di prestazione d’opera professionale, trova applicazione l’art. 2237 c.c. con la conseguenza che in caso di recesso della paziente e di mancato espletamento dell’attività del sanitario, quest’ultimo è tenuto alla restituzione delle somme ricevute  come anticipo, in quanto risulta “escluso il diritto al mancato guadagno oltre che quello ad ogni compenso”.

Quanto al riparto dell’onere della prova nell’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo (avendo, nella fattispecie de qua, i sanitari trattenuto il 50% dell’importo per l’intervento versato a titolo di anticipo dalla paziente) la Suprema Corte richiama ancora una volta il principio secondo il quale grava sul solvens la prova del pagamento e della mancanza della causa debendi, gravando invece sull’accipiens la prova di altra fonte di debito.

Si è ritenuto, nel caso di specie, assolto l’onere probatorio da parte della paziente, non anche quello dei sanitari che ai fini dell’azione suddetta avrebbero dovuto provare che vi era stato un accordo derogatorio a quanto disposto dall’art.2237 cc.

La Corte adìta chiarisce che a nulla rileva il riferimento all’art. 1988 c.c. in quanto la dichiarazione resa dalla paziente, in calce alla cartella clinica, di corrispondere le restanti somme pattuite per l’intervento chirurgico è da riferirsi ad una accettazione del pagamento degli onorari dovuti. Non è dunque in discussione il rapporto fondamentale ma la determinazione di quanto effettivamente dovuto in forza del recesso. Conseguentemente la dichiarazione sottoscritta non è tale da derogare ai principi generali della disciplina del riparto dell’onere della prova.

Nel caso di specie la Suprema Corte ribadisce che, in applicazione dell’art.2237 cc, nessun compenso è dovuto ai sanitari poiché questo, in mancanza dell’opera svolta e da retribuire, sarebbe stato commisurabile soltanto al  mancato guadagno e non potrebbe trovare applicazione l’art.2227 cc. ” Si tratta di un apprezzamento di fatto – dice la Corte – circa il mancato svolgimento, eventualmente anche parziale, di una prestazione d’opera professionale da retribuire, riservato al giudice di merito e, nel caso di specie, non contestato dal ricorrente, nemmeno sotto il profilo del vizio di motivazione”.

Si può concludere che il presente arresto giurisprudenziale, nel confermare che il rapporto medico-paziente è inquadrabile nel contratto d’opera di cui all’art.2237 c.c. chiarisce che, salvo diversa pattuizione tra le parti, il sanitario ha un obbligo restitutorio di tutte le somme ricevute, anche a titolo di caparra, ogniqualvolta la paziente abbia deciso di non sottoporsi più all’intervento.