La sentenza n. 2618/2015 (udienza del 21.10.2015, deposito del 21.1.2016) pronunciata dalla Sesta Sezione della Corte di Cassazione precisa che anche con riferimento al reato di coltivazione di sostanze stupefacenti vada accertata in concreto l’offensività della condotta.
Riaffermando quanto sostenuto dalle Sezioni Unite nel 2008 (Sez. U. 28605 del 24.04.2008), la S.C. ribadisce che la coltivazione di sostanze stupefacenti costituisce illecito penale indipendentemente dal fatto che tale condotta sia finalizzata ad un uso personale del soggetto agente.
Infatti la coltivazione di tali specie botaniche è da considerarsi un’attività generalmente pericolosa in quanto idonea a mettere in pericolo la salute dei singoli e della collettività, per questo il Legislatore ha previsto che sia sempre punibile essendo esclusa dalla sfera della detenzione per uso personale.
Ad ogni modo, quanto esposto non consente al Giudice di merito di ritenere sussistente il reato in esame semplicemente qualora sia accertata la coltivazione di piante corrispondenti al tipo botanico vietato, ipotizzando che le stesse, crescendo, svilupperanno principi attivi idonei a provocare l’effetto stupefacente.
Al contrario, per pronunciare una sentenza di condanna per coltivazione di sostanze stupefacenti, l’Autorità Giudiziaria dovrà verificare l’attuale ed effettiva capacità drogante delle piante oggetto di coltivazione; solo in tal modo si sarà di fronte ad una condotta offensiva, ovvero capace di ledere effettivamente il bene salute tutelato dalla norma incriminatrice.
Esclusivamente la verifica della sussistenza di una concreta offesa consente di rispettare i principi costituzionali, non ultimo quello dell’inviolabilità della libertà personale: l’applicazione della pena si giustifica solo come reazione ad una condotta che offenda un bene giuridico dello stesso livello.