Se il Giudice accoglie la domanda di riduzione dell’assegno di mantenimento, il coniuge che ne sia beneficiario è tenuto a restituire quanto percepito in eccedenza nel periodo che intercorre tra la proposizione della domanda di riduzione e la pronuncia giudiziale di accoglimento?
Con ordinanza n. 23024 del 16 settembre 2019 la Cassazione è tornata a pronunciarsi sul punto, chiarendo quali siano le sorti delle somme medio tempore versate dal coniuge obbligato.
Quando può essere richiesta la riduzione dell’assegno di mantenimento?
La riduzione dell’importo dell’assegno di mantenimento disposto in favore dei figli e/o del coniuge può essere richiesta, al ricorrere di determinati presupposti, nel corso del procedimento di separazione giudiziale (in riforma di quanto stabilito in sede di provvedimenti provvisori e urgenti) oppure successivamente all’esito del giudizio medesimo.
La domanda può essere giustificata da variazioni sopravvenute rispetto alla data della determinazione dell’assegno quali ad esempio il mutamento delle condizioni economico-reddituali dei coniugi (ad esempio: il marito obbligato al versamento dell’assegno perde il lavoro o, viceversa, la moglie beneficiaria, prima disoccupata, inizia a lavorare) o la creazione di un nuovo nucleo familiare (ad esempio la nascita di altri figli del marito da una nuova unione).
Ma se il giudice accoglie la domanda di riduzione dell’importo dell’assegno di mantenimento, gli effetti della decisione decorrono dalla data della sentenza o dalla data di proposizione della domanda di revisione? In altri termini, il coniuge deve restituire le somme eventualmente percepite in eccedenza rispetto a quanto poi deciso dal Tribunale nel periodo intercorrente tra la domanda e la pronuncia giudiziale oppure può trattenerle e il nuovo importo si applicherà solo a partire dalla data della sentenza?
La posizione della Cassazione.
La regola generale è che l’assegno di mantenimento liquidato in sede di separazione e/o di modifica delle condizioni di separazione decorre dalla data della domanda (v. ex multis Cass. 28/2008) e ciò in applicazione sia del principio generale stabilito dall’art. 445 c.c. in tema di alimenti (v. Cass. n. 5749/1993 e Cass. n. 3202/1986) sia del principio, più volte affermato in giurisprudenza, secondo cui gli effetti di ogni provvedimento giurisdizionale retroagiscono al momento della domanda se a tale momento esistevano le condizioni richieste per l’emanazione del provvedimento (v. Cass. n. 14886/2002; Cass. n. 4558/2000; Cass. n. 7770/1997; Cass. n. 147/1994; Cass. n. 6322/1983).
Nel caso di specie tali principi devono tuttavia essere contemperati con quelli di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle somme corrisposte a titolo di mantenimento enunciati agli artt. 447 c.c. e 545 c.p.c.
Sulla scorta di tali considerazioni la Cassazione, riprendendo un orientamento già espresso nel 2008, ha risolto la questione affermando che la parte che ha già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle in caso di successiva riduzione dell’assegno né può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo (Cass. n. 23024/2019 e, prima, Cass. n. 28978/2008)
Tuttavia “ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni, non più dovute in base alla sentenza di modificazione delle condizioni di separazione, non sarà più tenuto a corrisponderle, con la conseguenza che contro di lui non potrà agirsi esecutivamente” (cfr Cass. n. 28978/2008 e, prima, Cass n. 15164/2003).
In altre parole, se il marito decide arbitrariamente di versare il minor importo già a partire dalla presentazione della domanda di riduzione, in caso di successivo accoglimento della medesima non sarà tenuto a corrispondere la differenza; se viceversa in buona fede continua nelle more del giudizio di revisione a versare l’intero importo, non avrà alcun diritto alla restituzione dell’eccedenza versata.