Videosorveglianza e rapporti di vicinato: sì al risarcimento se è lesa la privacy del vicino

videosorveglianza in condominio

La vicenda.

Con sentenza n. 466 del 31 gennaio 2018 il Tribunale di Catania si è pronunciato in merito alla richiesta di risarcimento del danno da lesione del diritto alla riservatezza in ambito domestico.

Nello specifico l’attore lamentava la violazione della privacy da parte del vicino di casa – proprietario della porzione di villetta a schiera confinate – reo di aver installato nella sua proprietà un impianto di videosorveglianza in grado di riprendere non solo la rampa del suo garage ma anche spazi di pertinenza esclusiva dell’immobile dell’attore (l’ingresso e le finestre del bagno e della cucina che affacciano sul muro perimetrale sovrastante la suddetta rampa).

Tale pronuncia offre lo spunto per chiarire quali siano i principi fondamentali da seguire e i limiti da rispettare per chi voglia installare a casa propria un sistema di videosorveglianza senza ledere l’altrui diritto.

E’ reato riprendere con sistemi di videosorveglianza gli spazi di pertinenza di un’abitazione altrui liberamente visibili dall’esterno?

Per prima cosa occorre chiarire se l’installazione di un sistema di videosorveglianza in grado di riprendere anche le pertinenze dell’immobile di proprietà del vicino integri gli estremi del reato di interferenze illecite nell’altrui vita privata.

Ai sensi dell’art. 615bis c.p.chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614 (cioè abitazioni, luoghi di privata dimora o pertinenze di essi), è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Giurisprudenza unanime ritiene tuttavia che il reato ex 615bis c.p. non sussiste se vengono ripresi comportamenti agevolmente percepibili dai terzi, dal momento che la tutela del domicilio è limitata solamente a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei.

Da ciò discende che se l’azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata dall’esterno senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può vantare alcuna pretesa penalmente tutelata al rispetto della sua riservatezza da parte dei terzi (v. Cass. n. 40577/2008).

Il Tribunale di Catania, nella sentenza in commento ed in linea col principio suddetto, ha chiarito preliminarmente che nel caso di specie non potevano ritenersi sussistenti i presupposti del reato ex art. 615bis c.p. proprio perché le ragioni della tutela domiciliare sottese alla citata norma vengono meno in relazione alle riprese di spazi di pertinenza di abitazione che di fatto non risultano protetti dalla vista degli estranei “giacchè per questa ragione tali spazi sono assimilabili a luoghi esposti al pubblico” (v. Cass. Pen. 21.10.2008 n. 44156).

Quando il sistema di videosorveglianza viola la privacy del vicino?

Più delicata invece è la valutazione sulla lesione del diritto alla riservatezza conseguente all’installazione di un sistema di videosorveglianza da parte del vicino di casa.

A tal proposito occorre richiamare il provvedimento del Garante Privacy dell’8 aprile 2010 in tema di sistemi di videosorveglianza che, con specifico riguardo ai sistemi installati da persone fisiche per fini esclusivamente personali, chiarisce che benché non trovi applicazione la disciplina del Codice Privacy, “al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615bis c.p.), l’angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l’accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l’abitazione di altri condomini” (cfr punto 6.1 delibera 8.4.2010 Garante Privacy).

Nel caso di specie il Tribunale di Catania, ferma restando l’irrilevanza penale dei fatti, ha chiarito che l’installazione del sistema di videosorveglianza integrava un illecito civile in quanto, in aperto contrasto con il detto provvedimento del Garante Privacy, diretta a riprendere aree di proprietà esclusiva del vicino.

Il Tribunale di Catania ha ricordato che, se è vero che “l’installazione di questi impianti è ammissibile esclusivamente in relazione all’esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo”, è pur sempre necessario svolgere una valutazione di proporzionalità tra i diritti in gioco – c.d. bilanciamento di interessi di cui all’art. 24, comma 1, lett. g), del Codice Privacy – bilanciamento che nel caso di specie non era stato provato né allegato dal convenuto.

Per tali ragioni il Tribunale di Catania ha ritenuto che fosse ravvisabile un illecito civile (anche se non collegato ad alcun reato) foriero di un danno non patrimoniale, sul presupposto che il domicilio è tutelato dall’art. 14 della Costituzione sotto due distinti aspetti: “come diritto di ammettere o escludere altre persone da determinati luoghi, in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo; e come diritto alla riservatezza su quanto si compie nei medesimi luoghi” e, “nel caso delle riprese visive, il limite costituzionale del rispetto dell’inviolabilità del domicilio viene in rilievo precipuamente sotto il secondo aspetto: ossia non tanto – o non solo – come difesa rispetto ad una intrusione di tipo fisico; quanto piuttosto come presidio di un’intangibile sfera di riservatezza, che può essere lesa – attraverso l’uso di strumenti tecnici – anche senza la necessità di un’intrusione fisica” (Corte cost. 149/2008).

Come si calcola il risarcimento del danno non patrimoniale in simili ipotesi?

Per quanto concerne, infine, la quantificazione del danno da violazione del diritto alla riservatezza, da un lato occorre considerare che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce pur sempre un danno conseguenza che deve essere allegato e provato e, dall’altro, occorre tenere presente che la possibilità data dall’art. 1226 c.c. di procedere a liquidazione equitativa allorché sia impossibile, od estremamente difficile, fornire precisa prova del suo ammontare, non esonera comunque, “l’interessato dall’obbligo di offrire gli elementi probatori sulla sussistenza del medesimo – la quale costituisce il presupposto indispensabile per una valutazione equitativa – per consentire che l’apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, limitato alla funzione di colmare solo le inevitabili lacune al fine della precisa liquidazione del danno” (v. Cass. 27/02/2013 n. 4948).                                     

Nel caso di specie il Tribunale, non essendo stata data alcuna prova di una concreta alterazione delle consuetudini domestiche dell’attore e dei suoi familiari conseguente al timore di essere ripresi dalle telecamere del vicino, ha ritenuto equo quantificare il danno patito dall’attore in € 2.000, richiamando il concetto di risarcimento punitivo che recentemente le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 16601/2017 hanno riconosciuto al risarcimento del danno non patrimoniale da lesione dei diritti fondamentali.

Infatti secondo la Suprema Corte “Nel vigente ordinamento alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi logicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi” (v. Cass. SS.UU. 16601/2017).