La nozione di “disconnessione”.

La rapida evoluzione tecnologica degli ultimi anni ha favorito la diffusione del c.d. “lavoro agile”, che consente ai lavoratori di svolgere la propria attività fuori dal contesto aziendale, utilizzando quegli strumenti elettronici che sono ormai parte integrante della loro quotidianità.

L’evoluzione delle abitudini lavorative ha, tuttavia, contribuito non poco ad assottigliare il confine tra vita privata e vita lavorativa ed è sorta l’esigenza di tutelare il lavoratore dal rischio della eccessiva dilatazione del “tempo lavorato”.

Per tale ragione si è fatto strada il concetto di “diritto alla disconnessione”, inteso come diritto del lavoratore a disconnettersi, una volta terminato l’orario di lavoro, dagli strumenti digitali utilizzati per rendere la prestazione lavorativa.

I problemi legati alla mancanza di disconnessione.

Le nuove tecnologie hanno sicuramente agevolato la produttività e, specie in tempi di restrizioni da Covid-19 negli spostamenti ed incontri, hanno consentito la non interruzione di molte attività.

Questo, tuttavia, ha modificato molte abitudini e fatto in modo che le persone rimanessero collegate ai propri dispositivi di lavoro ben oltre l’orario stabilito dal contratto di assunzione.

La perenne connessione, anche se spesso nel breve-medio periodo non ne vengono percepite le negatività, produce danni che si traducono nel c.d. “tecnostress” e nella sindrome da “burn-out”.

Il primo, derivante da un uso improprio ed eccessivo delle tecnologie, può causare insonnia, mal di testa ed ansia; il secondo è dovuto ad uno stress legato all’ambito lavorativo, percepito come logorante e può portare a infondere un senso di esaurimento, demotivazione ed addirittura sfociare in depressione.

Si tratta di danni gravi alla salute, che devono essere tenuti in considerazione sia dal datore di lavoro che dallo stesso lavoratore.

E’ necessario, pertanto, trovare il giusto equilibrio tra la vita privata e la vita lavorativa, al fine di evitare la compromissione della propria ed altrui salute.

Il diritto alla disconnessione in ambito europeo.

Il 21 gennaio 2021 il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione n. 2019/2181, contenente raccomandazioni rivolte alla Commissione Europea in materia di diritto alla disconnessione.

Il Parlamento ha qualificato la disconnessione come “mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro”, rivolgendosi anche ai datori di lavoro e raccomandando loro di fornire ai propri dipendenti “i mezzi necessari per esercitare il diritto alla disconnessione”.

L’obbiettivo del provvedimento è quello di portare, all’interno degli ambienti lavorativi, quell’equilibrio tra il lavoro e la vita privata che spesso viene a mancare a causa della sempre crescente digitalizzazione del lavoro e di sensibilizzare sul tema gli Stati membri, raccomandando loro di adottare normative specifiche sul tema.

Il diritto alla disconnessione in Italia.

Nell’Ordinamento italiano la tutela della salute dei lavoratori è regolata sia dal codice civile (Art. 2087), che impone all’imprenditore di adottare tutte quelle misure necessarie a tutelare “l’integrità fisica e la personalità morale” dei lavoratori, che dallo Statuto dei Lavoratori (Art. 9), che attribuisce ai lavoratori, mediante le loro rappresentanze, il diritto di “controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica“.

Più di recente, la Legge 81/2017 ha introdotto alcune disposizioni che regolano le modalità di svolgimento del c.d. “lavoro agile”.

Gli articoli da 18 a 24 del provvedimento si occupano di delinearne la disciplina, imponendo alle parti una regolamentazione preventiva e per iscritto.

L’accordo deve prevedere le modalità di svolgimento della prestazione e assicurare al lavoratore il diritto alla disconnessione dagli strumenti tecnologici.

La legge equipara a tutti gli effetti il lavoratore in a distanza con quello che svolge la propria attività in azienda e vieta l’adozione di trattamenti retributivi differenziati tra le due categorie, cosa che potrebbe indurre il “lavoratore da remoto” a dilatare il proprio orario lavorativo per colmare il gap salariale.

Sul punto è intervenuta la recentissima legge 61/2021 (legge di conversione, con modifiche, del decreto legge n. 30/2021), che riconosce espressamente al lavoratore – fuori dall’orario di lavoro – il diritto alla disconnessione dagli strumenti tecnologici utilizzati per lo svolgimento della propria prestazione lavorativa.

Specifica, inoltre, che il diritto alla disconnessione non può penalizzare il lavoratore, né sotto il profilo della retribuzione né con riferimento al rapporto di lavoro in genere.

In conclusione, è opportuno osservare che, se è vero che il diritto alla disconnessione non vincola i lavoratori che, per propria volontà o per accordi presi col datore di lavoro, intendano continuare il proprio lavoro anche oltre l’orario, è pur vero che tale loro volontà dovrà rispettare le diverse scelte dei colleghi, che avranno tutto il diritto di essere “disconnnessi”.

Spetterà anche al datore di lavoro sensibilizzare i propri dipendenti sul rispetto delle misure adottate.