L’obbligo generale di informativa.
L’Art. 13 del Codice privacy pone in capo al Titolare del trattamento dei dati personali l’obbligo generale di informativa preventiva all’Interessato, stabilendone altresì il contenuto minimo obbligatorio (le finalità e modalità del trattamento, la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati, le conseguenze di un eventuale rifiuto di rispondere, i soggetti o categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di responsabili o incaricati, l’ambito di diffusione dei dati, i diritti di cui all’articolo 7, gli estremi identificativi del titolare e, se designati, del rappresentante nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 5 e del responsabile).
Quindi: no trattamento senza prima aver dato l’informativa. Ma per il curriculum vitae..
Spesso tuttavia la realtà pone problemi pratici che mal si conciliano col dettato normativo ed è per questo che il Codice privacy prevede alcune semplificazioni e alcune eccezioni.
Tra queste ultime si segnala quella prevista dal comma 5-bis, ai sensi del quale “L’informativa di cui al comma 1 non è dovuta in caso di ricezione di curricula spontaneamente trasmessi dagli interessati ai fini dell’eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro. Al momento del primo contatto successivo all’invio del curriculum, il titolare è tenuto a fornire all’interessato, anche oralmente, una informativa breve contenente almeno gli elementi di cui al comma 1, lettere a), d) ed f)“.
Questa norma di recente introduzione (il comma è stato aggiunto nel 2011), quantomai opportuna per evitare di ostacolare inutilmente il mercato del lavoro, combinata con gli artt. 24 co. 1 lett. i-bis e 26 co. 3 lett. b-bis, fa sì che si possano lecitamente trattare dati (anche sensibili) del candidato senza aver reso l’informativa preventiva, senza il consenso dell’Interessato (implicito nella trasmissione volontaria del CV) e senza l’autorizzazione del Garante.
Le sanzioni.
L’omessa o inidonea informativa è punita con la sanzione amministrativa da € 6.000,00 a € 36.000,00 (Art. 161 Codice Privacy) ed espone il Titolare all’azione risarcitoria civile da parte dell’Interessato (e, in alcuni caso,costituisce reato).
Le altre normative coinvolte.
In materia di selezione del personale (e, in generale, di rapporti di lavoro) la disciplina privacy non è l’unico aspetto da tenere in considerazione: non vanno dimenticate – e meritano un accenno – le seguenti ulteriori norme:
a. l’art. 8, l. n. 300/1970, che fa “divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione […] di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini dell’attitudine professionale del lavoratore“;
b. l’art. 10, d.lgs. 276/2003 in forza del quale “è fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonché ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa. È altresì fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo“.
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