Lavoro familiare: assimilabilità al lavoro dipendente

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. e 36 d.lgs 198/06  un dipendente del Ministero dell’Interno presso la Questura di Venezia adiva il Tribunale di Venezia – Sezione lavoro per ottenere la condanna del datore di lavoro al risarcimento sia del danno patrimoniale che non patrimoniale subiti, perché gli era stato negato il diritto ad usufruire dei riposi giornalieri ex art 40 TU. 151/2001 e del congedo per malattia del figlio ex art 47 del medesimo TU.

Tale diniego era dipeso dal fatto che, secondo l’Amministrazione, il dipendente non poteva godere del suddetto diritto avendo una moglie casalinga e non lavoratrice autonoma.

Si precisa che  la tutela dalle discriminazioni di cui sopra è prevista nel D. Lgs n. 198 del 2006 – Codice, delle pari opportunità tra uomo e donna“, entrato in vigore il 15 giugno 2006, mentre i riposi giornalieri del padre e della madre nonché il congedo per malattia del figlio sono disciplinati agli artt. 39, 40 e 47 del  TU 151/2001.

Secondo il Tribunale adito, il diniego di cui sopra é illegittimo alla luce anche del principio espresso nella sentenza n. 4293/2008 del Consiglio di Stato, che equipara la lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente sulla base della ratio della norma, volta a permettere al padre di beneficiare di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato. Si richiama sul punto anche Cass. n. 20324/05 che stabilisce che chi svolge attività domestica, benchè non percepisca reddito monetizzato, svolge un’attività suscettibile di valutazione economica e legittimante l’eventuale richiesta di risarcimento in caso di danno. All’uopo si richiamano i principi di cui agli artt. 4, 36 e 37 Costituzione (che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro ed i diritti del lavoratore e della donna lavoratrice).

Pertanto, il Tribunale, ravvisando una condotta discriminatoria del datore di lavoro, condannava l’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore e alla rifusione delle spese di lite.

 

 

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