Con sentenza n. 11959/2020 del 10 aprile 2020 la Cassazione ha affermato che i documenti informatici (file) sono qualificabili come cose mobili ai sensi della legge penale e che, pertanto, commette il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. il dipendente che, prima di licenziarsi, sottrae dal computer aziendale i dati informatici ivi custoditi.
La vicenda.
Un lavoratore, dopo essersi dimesso dalla società per cui lavorava, veniva assunto da una azienda di nuova costituzione operante nel medesimo settore.
Poco prima di presentare le dimissioni, il lavoratore aveva restituito il notebook aziendale che gli era stato affidato in uso nel corso del rapporto di lavoro con l’hard disk formattato, senza alcuna traccia cioè dei dati informatici originariamente ivi presenti.
Così facendo il lavoratore non solo aveva provocato il malfunzionamento del sistema informatico aziendale ma si era anche impossessato dei file informatici aziendali, i quali venivano successivamente rinvenuti nella sua materiale disponibilità, salvati all’interno di computer da lui utilizzati.
Per tali ragioni l’ex dipendente veniva condannato in primo grado per il reato di danneggiamento di sistemi informatici e telematici di cui all’art. 635-quater c.p.; successivamente, in parziale riforma della sentenza di primo grado, l’imputato veniva assolto in appello dal predetto reato, con contestuale condanna tuttavia per il diverso reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p.
Avverso la sentenza l’imputato proponeva ricorso in Cassazione sostenendo che la Corte di Appello aveva errato nel ritenerlo colpevole del reato di appropriazione indebita visto che, a suo dire, i dati informatici non potevano essere qualificati come cose mobili ai sensi della legge penale e, di conseguenza, non erano suscettibili di appropriazione indebita.
I file possono costituire oggetto di appropriazione indebita?
La questione che la Corte è stata chiamata ad affrontare concerne la possibilità di qualificare i dati e documenti informatici (i singoli file) come cose mobili ai sensi delle disposizioni della legge penale e la conseguente possibilità per i medesimi di costituire oggetto di condotte di appropriazione indebita perseguibili ai sensi dell’art. 646 c.p.
Su questo tema la giurisprudenza di legittimità ha già avuto occasione di pronunciarsi in passato, negando al dato informatico la natura di bene materiale.
Ad esempio, con riferimento al reato di furto, la Cassazione aveva escluso che i file potessero formare oggetto del reato dal momento che, rispetto alla condotta tipica della sottrazione, la loro particolare natura costituiva un ostacolo logico alla integrazione dell’elemento oggettivo di tale fattispecie incriminatrice. Basti pensare al caso della semplice copiatura non autorizzata di file contenuti su un supporto informatico altrui, ipotesi in cui, secondo la Cassazione, non si realizza quella perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore che è necessaria ai fini dell’integrazione della fattispecie del furto (v. Cass. n. 44840 del 26/10/2010 e Cass. n. 3449 del 13/11/2003).
Analogamente, con riguardo al delitto di appropriazione indebita, era stato più volte affermato in giurisprudenza che l’oggetto materiale della condotta di appropriazione non potesse essere un bene immateriale (v. Cass. n. 33839 del 12/07/2011), salvo il caso in cui la condotta avesse ad oggetto documenti rappresentanti a loro volta beni immateriali (v. Cass. n. 47105 del 30/09/2014).
Gli argomenti che legano tra loro le pronunce giurisprudenziali sopra ricordate traggono tutte spunto dal tenore testuale della norma incriminatrice che individua l’oggetto materiale della condotta nel “denaro od altra cosa mobile” (v. artt. 626 e 646 c.p.).
La definizione di “cosa mobile” secondo la legge penale.
La nozione di cosa mobile non è definita dalla legge, se non nella disposizione che, in tema di furto, equipara alla cosa mobile l’energia elettrica e ogni altra energia economicamente valutabile (“Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico“, cfr. art. 624, comma 2 c.p.).
Tuttavia, le più accreditate correnti dottrinali e giurisprudenziali hanno, nel corso degli anni, delimitato la nozione penalistica di cosa mobile attraverso l’individuazione di alcuni caratteri minimi che essa deve possedere e che sono essenzialmente rappresentati dalla materialità e fisicità dell’oggetto, il quale deve risultare definibile nello spazio e suscettibile di essere spostato da un luogo ad un altro.
A tal proposito si richiama Cass. n. 20647/2010 secondo cui in ambito penale tale concetto implica che la cosa sia suscettibile di “fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l’attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro o, ancorché non mobile ab origine, resa tale da attività di mobilizzazione ad opera dello stesso autore del fatto, mediante sua avulsione od enucleazione” (v. Cass. n. 20647 del 11/05/2010).
Da tale assunto la giurisprudenza ha fatto discendere l’esclusione delle entità immateriali – ad esempio delle opere dell’ingegno, delle idee, delle informazioni in senso lato – dal novero delle cose mobili suscettibili di appropriazione.
Il rapporto tra la “cosa mobile” e l’mmaterialità (vera o presunta) del dato.
Se, da un lato, ragioni di ordine testuale, sistematico e di rispetto dei principi fondamentali di stretta legalità e tassatività delle norme incriminatrici porterebbero a contrastare la possibilità di qualificare i file come beni suscettibili di rappresentare l’oggetto materiale dei reati contro il patrimonio, dall’altro occorre approfondire la valutazione considerando non solo la natura dei file medesimi ma anche la circostanza che molte categorie giuridiche coniate in epoche in cui le attuali tecnologie informatiche erano del tutto sconosciute devono essere oggi riconsiderate al fine di rendere pienamente effettiva la tutela cui mirano le disposizioni incriminatrici dei delitti contro il patrimonio.
La definizione di “file informatico”.
Secondo la norma ISO/IEC 2382-1:1993 il file può essere definito come l’insieme di dati, archiviati o elaborati, a cui sia stata attribuita una denominazione secondo le regole tecniche uniformi.
I file rappresentano, cioè, la struttura principale con cui si archiviano i dati su un determinato supporto di memorizzazione digitale; essi hanno una dimensione fisica che è determinata dal numero delle componenti necessarie per l’archiviazione e la lettura dei dati inseriti nel file, cioè di fatto dei bit.
Questi ultimi “non sono entità astratte, ma entità dotate di una propria fisicità: essi occupano fisicamente una porzione di memoria quantificabile, la dimensione della quale dipende dalla quantità di dati che in essa possono esser contenuti, e possono subire operazioni (ad esempio, la creazione, la copiatura e l’eliminazione) tecnicamente registrate o registrabili dal sistema operativo».
Gli elementi descrittivi sopra riportati consentono di affermare che il file, pur non potendo essere materialmente percepito dal punto di vista sensoriale, possiede una dimensione fisica sua propria costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono. Ciò trova riscontro sia nell’esistenza di unità di misurazione della capacità di un file di contenere dati sia nella differente grandezza dei supporti fisici in cui i file possono essere conservati e elaborati.
File informatico come bene mobile: quali sono le differenze rispetto ai beni mobili tradizionalmente intesi?
Se dunque, sulla base di quanto sopra esposto, può ritenersi sussistente il requisito della materialità del file, maggiori difficoltà si riscontrano invece laddove si passi ad esaminare la caratteristica della capacità di materiale apprensione che, tradizionalmente, è sempre stata considerata uno dei presupposti necessari per la configurabilità delle fattispecie di appropriazione.
Secondo la Suprema Corte, anche in questo caso occorre prendere atto che il mutato panorama delle attività che l’uomo è in grado di svolgere mediante le apparecchiature informatiche impone all’interprete di considerare in modo più appropriato i criteri classificatori utilizzati per la definizione delle nozioni penalistiche che, inevitabilmente, non possono rimanere immutate nel tempo.
Sul punto la Cassazione ha richiamato la posizione espressa da parte della dottrina secondo cui, con riferimento ai file, «l’elemento della materialità e della tangibilità ad essa collegata, della quale l’entità digitale è sprovvista, perde notevolmente peso: il dato può essere oggetto di diritti penalmente tutelati e possiede tutti i requisiti della mobilità della cosa» (v. Cass. n. 11959/2020).
A suffragio di tale considerazione basti richiamare la capacità del file di essere trasferito da un supporto informatico ad un altro, mantenendo le proprie caratteristiche strutturali, così come la possibilità che lo stesso dato viaggi attraverso la rete Internet per essere inviato da un sistema o dispositivo ad un altro sistema, a distanze rilevanti, oppure per essere custodito in ambienti virtuali (corrispondenti a luoghi fisici in cui gli elaboratori conservano e trattano i dati informatici).
Tali caratteristiche non fanno altro che confermare la possibilità del dato informatico di formare oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione.
In conclusione quindi, anche in difetto del requisito della capacità di apprensione materialmente percepibile del file in sé considerato (se non quando esso sia fissato su un supporto digitale che lo contenga), si deve ritenere che il file rappresenti una cosa mobile, definibile quanto alla sua struttura, alla possibilità di misurarne l’estensione e capacità di contenere dati e suscettibile di esser trasferito da un luogo ad un altro, anche senza l’intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall’uomo.
Sottrazione del file e appropriazione indebita: il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, con la sentenza n. 11959/2020 la Cassazione ha affermato il principio secondo cui “i dati informatici (files) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer “formattato” (v. Cass. 11959/2020).