La Circolare INAIL n. 22 del 20 maggio 2020 ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla tutela infortunistica da Covid-19 contratto dal dipendente sul luogo di lavoro e alle connesse responsabilità del datore di lavoro.
Covid-19 può essere considerato infortunio sul lavoro?
L’art. 42 comma 2 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 ha chiarito che l’infezione da Covid-19 è tutelata dall’INAIL quale infortunio sul lavoro come accade per tutte le infezioni da agenti biologici contratte in occasione del rapporto di lavoro.
Ciò avviene sulla base del principio, ormai consolidato, secondo cui le patologie infettive contratte in occasione di lavoro sono da sempre inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro.
La causa virulenta viene infatti equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo e ciò vale tanto per malattie come epatite, tetano e Aids, quanto per il Covid-19.
L’indennità INAIL copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria del lavoratore?
Sì, qualora il contagio sia riconducibile all’attività lavorativa, l’art. 42 co. 2 del decreto legge sopra richiamato prevede espressamente che l’indennità per inabilità temporanea assoluta copra anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria, con la conseguente astensione dal lavoro.
Chi sopporta gli oneri degli eventi infortunistici del contagio?
Gli oneri degli eventi infortunistici da contagio da Covid19 sono posti a carico della gestione assicurativa nel suo complesso, a tariffa immutata.
Essi non incidono sull’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico e non comportano maggiori oneri in capo alle imprese.
La scelta operata con il citato articolo 42 è stata quindi quella dell’esclusione totale di qualsiasi incidenza degli infortuni da Covid-19 in occasione di lavoro sulla misura del premio pagato dal singolo datore di lavoro.
Ciò avviene perché tali eventi sono stati a priori ritenuti frutto di fattori di rischio non direttamente e pienamente controllabili dal datore di lavoro così come avviene anche, ad esempio, per gli infortuni in itinere, in relazione ai quali l’INAIL riconosce la tutela assicurativa al lavoratore che si è infortunato nel tragitto casa-lavoro e viceversa, senza imputare al datore di lavoro alcuna conseguenza per l’evento infortunistico.
Come si dimostra la contrazione del virus durante l’attività lavorativa?
Occorre fornire la prova dell’avvenuto contagio in occasione della prestazione di lavoro, anche attraverso presunzioni.
Occorrerà accertare in modo rigoroso i fatti e le circostanze che consentanto di desumere che il contagio è avvenuto in occasione della prestazione lavorativa, ad esempio considerando elementi quali le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, i tempi di comparsa delle infezioni, ecc.
Sarà quindi necessario accertare la sussistenza di fatti noti, cioè di indizi gravi, precisi e concordanti sui quali si possa fondare la presunzione semplice dell’origine “professionale” della malattia, ferma sempre restando poi la possibilità, per l’INAIL, di fornire prova contraria.
Contrazione del virus sul luogo di lavoro: no all’automatica responsabilità civile e penale del datore di lavoro.
Il riconoscimento dell’origine professionale del contagio si fonda su un giudizio di ragionevole probabilità ed è quindi totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio.
La Circolare n. 22/2020 dell’INAIL ha infatti precisato che non si devono confondere i presupposti per l’erogazione di un indennizzo INAIL con i presupposti per la responsabilità penale e civile del datore di lavoro, i quali devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative.
Ciò è coerente con quanto accade, ad esempio, con riferimento ai c.d. infortuni contratti “in occasione di lavoro”, i quali sono indennizzati anche se avvenuti per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore.
Quali sono i presupposti per far sorgere la responsabilità del datore di lavoro?
Per far sorgere in capo al datore di lavoro una qualche responsabilità in relazione alla contrazione del virus da parte del lavoratore occorre, oltre alla rigorosa prova del nesso di causalità di cui si è detto, anche quella dell’imputabilità, quantomeno a titolo di colpa, della condotta tenuta dal datore di lavoro.
Il riconoscimento del diritto alle prestazioni INAIL non basta a sostenere l’accusa nei confronti del datore di lavoro in sede penale; ciò in considerazione del fatto che vige il principio di presunzione di innocenza e che l’onere della prova incombe sul Pubblico Ministero.
Allo stesso modo, l’ammissione alla tutela assicurativa INAIL di un evento di contagio non potrebbe rilevare nemmeno in sede civile ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, dal momento che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo nella determinazione dell’evento.
Come di recente affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte “non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto” (v. sent. Cass. n. 3282/2020).
Ne discende che la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche che, nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’art. 1, co. 14 del d.l. 33/2020.
D’altro canto, il rispetto delle misure di contenimento, se è sufficiente a escludere la responsabilità civile del datore di lavoro, non è di certo sufficiente per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio da Covid-19, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero, circostanza che ancora una volta porta a sottolineare l’indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario.
Quando l’INAIL può esercitare il regresso nei confronti del datore di lavoro?
L’azione di regresso da parte dell’INAIL non può basarsi sul semplice riconoscimento dell’infezione da Covid19 del dipendente ma presuppone anche l’imputabilità, quantomeno a titolo di colpa, della condotta causativa del danno.
In assenza di una comprovata violazione da parte del datore di lavoro delle misure di contenimento del rischio di contagio sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del medesimo.