Con ordinanza n. 27921/2019 del 30.10.2019 la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla delicata questione dell’assimilazione al mandato delle ipotesi di c.d. mediazione atipica, resa cioè in difetto del requisito dell’imparzialità di cui all’art. 1754 cc.
La vicenda.
La vicenda trae origine dalla citazione in giudizio di una agenzia immobiliare da parte di un cliente che, dopo aver sottoscritto una proposta irrevocabile per l’acquisto di un immobile dalla stessa propostogli e aver contestualmente emesso e consegnato un assegno a titolo di caparra confirmatoria, apprendeva che l’assegno era stato incassato senza la sua autorizzazione, che il terrazzo dell’immobile visionato era in realtà catastalmente di pertinenza di un altro immobile e che il cespite era stato periziato per un importo ben inferiore rispetto a quello offerto.
Più in generale, l’attore si doleva della circostanza che l’Agenzia convenuta non avesse operato in maniera imparziale giacché l’amministratore e socio di maggioranza della stessa era, al contempo, anche amministratore unico e socio di riferimento proprio della Società venditrice.
Per tali ragioni chiedeva dichiararsi che nessun compenso era dovuto all’Agenzia a titolo di provvigione e che era affetto da nullità il contratto perfezionatosi a seguito dell’accettazione della sua proposta; chiedeva, inoltre, la condanna delle Società convenute alla restituzione delle somme ricevute e al risarcimento dei danni subìti.
Il Tribunale adìto rigettava le domande attoree, accogliendo la domanda riconvenzionale proposta dall’Agenzia immobiliare di condanna dell’Attore a corrispondere la provvigione.
Avverso tale decisione il Promissario acquirente proponeva appello innanzi alla Corte d’Appello di Torino la quale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda riconvenzionale esperita dall’Agenzia immobiliare e la condannava a restituire l’importo versato a titolo di caparra e al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio.
Il Giudice di secondo grado aveva infatti dato rilievo alla circostanza che la stessa persona fisica fosse al contempo socio di riferimento ed amministratore tanto della Società mediatrice quanto della Società promittente venditrice, ritenendola sufficiente a rendere l’opera di intermediazione priva dell’indispensabile requisito dell’imparzialità e, conseguentemente, a ravvisare l’inadempimento degli obblighi su di essa gravanti, con conseguente insussistenza del diritto alla provvigione.
Contestualmente la Corte di Appello evidenziava anche la sussistenza di ulteriori profili di inadempimento da parte dell’Agenzia, ricollegabili all’indebito incasso della caparra; pertanto la condannava alla restituzione della medesima.
Avverso tale sentenza l’Agenzia immobiliare proponeva ricorso per Cassazione.
La decisione della Cassazione.
Per inquadrare la questione sotto il profilo giuridico è necessario premettere che, ai sensi dell’art. 1754 cc, l’imparzialità intesa come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario costituisce un carattere essenziale della figura giuridica del mediatore, (cfr. Cass. 9.2.2000, n. 1447; Cass. 25.2.1987, n. 1995).
Nel caso di specie la Suprema Corte ha osservato che le indubitabili connessioni esistenti tra l’Agenzia immobiliare e la Società venditrice erano tali giustificare il difetto di imparzialità da parte della prima.
E’ ormai pacifico in giurisprudenza che il difetto di imparzialità di cui all’art. 1754 cc determina la qualificazione della mediazione come “atipica”, con conseguente assimilabilità del rapporto al contratto di mandato, diversamente disciplinato (cfr. Cass. SS.UU. n. 19161/2017).
Se questo giustifica, da un lato, l’insussistenza del diritto del “mediatore atipico” (mandatario) alla provvigione ex art. 1755 cc, come in effetti statuito dalla Corte di Appello, non giustifica tuttavia il disconoscimento della prerogativa del mediatore “atipico” (mandatario) di riscuotere somme per conto del mandante, con conseguente condanna alla restituzione della caparra eventualmente riscossa per conto della Venditrice da parte del Mediatore.
In altre parole la Cassazione ha rilevato la contraddittorietà della motivazione della sentenza della Corte d’Appello laddove quest’ultima, da un lato, aveva inquadrato il rapporto come mandato anzichè come mediazione (negando il diritto alla provvigione) e, dall’altro, aveva negato il potere del Mediatore atipico di riscoutere somme per conto del Mandante.
La Corte, in definitiva, ha ribadito che nel caso di specie il rapporto andava inquadrato come mediazione atipica ma ha al contempo dichiarato legittimo l’incasso dell’assegno versato a titolo di caparra, in accoglimento parziale del terzo motivo di ricorso.