Una recentissima sentenza della Corte d’Appello di Firenze, in merito alla questione della liberazione del fideiussore, ha precisato che la tutela accordata al fideiussore dall’art. 1956 cc (secondo cui “Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito“) non vale solo in caso di eventuale instaurazione di nuovi rapporti tra debitore e garantito, successivi al rilascio della garanzia ma può riguardare anche i rapporti già in essere a quella data (App. Firenze, sent. 15.4.2020).
La Corte toscana precisa che la norma “intende colpire con la sanzione della inefficacia della fideiussione il comportamento del creditore che, confidando sulla solvibilità del garante, continui a fare credito al debitore garantito conoscendo il peggioramento delle sue condizioni economiche al punto tale da rendere più difficile il recupero del credito“.
In tal caso, precisa la sentenza, si deve avere riguardo alle modalità con cui il creditore gestisce il rapporto garantito già instaurato col terzo.
Nello specifico, deve porsi attenzione ad eventuali comportamenti che determinino un ingiustificato ed imprevedibile aggravamento del rischio a cui è esposto il garante di non poter più utilmente rivalersi sul debitore per recuperare quanto abbia dovuto corrispondere a seguito dell’escussione della garanzia.
Il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.
La conclusioni a cui giunge la Corte d’Appello fiorentina sono un corollario del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 cc). Quest’ultima sarebbe di certo esclusa in capo a quel creditore che, pur a conoscenza delle difficoltà del proprio debitore, gli conceda ulteriore credito (o, semplicemente, non si curi di tutelare il credito già erogato) facendo affidamento sulla solidità patrimoniale dell’ignaro fideiussore, abusando così del proprio diritto (orientamento di recente ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità, v. Cass. 32478/2019).
In sostanza “il “far credito”, ai fini della norma citata, deve intendersi non solo come il mettere la controparte nella possibilità di disporre di somme di denaro da restituire, ma, ad esempio, anche il lasciare che un rapporto a prestazioni corrispettive si svolga in modo che la controparte continui a ricevere la prestazione a suo favore, senza dal canto suo eseguire la propria“.
Ad esempio, secondo Cass. 3525/2009, qualora una fideiussione venga rilasciata a garanzia del pagamento dei canoni di locazione, ove si determini una morosità del conduttore tale da giustificare la domanda di risoluzione da parte del locatore, questi è tenuto a riferire al fideiussore della morosità, onde farsi autorizzare ad attendere il pagamento, in tal modo facendo credito al conduttore con la garanzia del fideiussore. Se ciò non avviene, sarà applicabile la previsione dell’art. 1956 cc e, conseguentemente, si avrà la liberazione del fideiussore dalla propria obbligazione.
In definitiva, l’art. 1956 c.c. può ritenersi applicabile in tutti i casi nei quali il creditore abbia trascurato di attivare i rimedi contrattuali a sua disposizione – l’eccezione di inadempimento, la richiesta di risoluzione del contratto, ecc. – confidando sulla validità della garanzia e sulla solvibilità del garante.