Corte di Cassazione – sent. n. 33615/12
di Patrizia Maciocchi, http://www.ilsole24ore.com
Concorso in omicidio colposo per il primario che, presente in sala operatoria come chirurgo, non interviene sull’errore dell’anestesista. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33615, torna sulla spinosa questione della responsabilità medica negli interventi d’equipe. Nel caso specifico il primario è stato accusato di non aver verificato la corretta preparazione di una paziente prima dell’intervento, a cui non era stato inserito il sondino naso gastrico: un accorgimento considerato indispensabile nell’ipotesi di un’occlusione intestinale.
Inutilmente il primario aveva sostenuto che si trattava di un’azione che rientrava nella competenza esclusiva dell’anestesista, al quale, secondo la giurisprudenza di legittimità, il chirurgo avrebbe potuto sostituirsi soltanto nel caso l’omissione dello specialista fosse così «abnorme ed evidente da rientrare nel bagaglio di qualsivoglia sanitario medio». Non si lascia convincere la Suprema corte che afferma invece l’obbligo del controllo preventivo da parte del primario chirurgo al quale resta, nel dubbio, la facoltà di rinviare l’intervento se il malato non corre un pericolo immediato di vita.
La Cassazione non addossa però al primario la responsabilità delle scelte, anche queste sbagliate, relative al trattamento post operatorio, dal l’«improvvida estubazione al ritardato ricovero nel reparto rianimazione», affermando la sola competenza dell’anestesista.
Diverso il trattamento che la Suprema corte ha riservato, con la sentenza 17222 del 9 maggio scorso, al capo di una equipe chirurgica condannato per concorso in omicidio colposo per non aver seguito con la dovuta accortezza i momenti successivi all’intervento. In quell’occasione la Cassazione aveva sostenuto che la posizione di garanzia, rivestita dal capo del “pool” chirurgico non si esaurisce all’interno della sala operatoria ma si estende anche ai momenti successivi e precedenti l’operazione.
Sull’attività medica in equipe non c’è ancora un’identità di vedute anche se esiste una giurisprudenza prevalente. Il nodo da sciogliere è se e in che misura il singolo membro di un’equipe, oltre a eseguire in maniera corretta le azioni che la sua scienza e la sua coscienza comportano, debba verificare e sorvegliare l’operato dei colleghi che possiedono specializzazioni diverse dalle sue e debba essere considerato corresponsabile anche per gli errori e le omissioni altrui.
I giudici di legittimità sono per lo più orientati sul principio del legittimo affidamento, grazie al quale i singoli specialisti possono concentrarsi sul proprio lavoro, confidando nell’altrui preparazione. Alla regola fa eccezione il capo equipe che, per la sua posizione sovraordinata mantiene un dovere di sorveglianza nei confronti dei collaboratori. Con la sentenza 46961 del 2011 la Suprema corte è tornata tuttavia a riaffermare il principio generale della corresponsabilità di tutti i membri dell’equipe, pur mitigato dal legittimo affidamento.